Alvaro Palini

A l v a r o P a l i n i

Scriveva Burton Anderson nel libro 101 Grandi vini rossi d’Italia nel 2000: “Il Sagrantino entrò nell’età moderna sul finire degli anni settanta, quando Domenico Adanti, oggi scomparso, assunse Alvaro Palini come capocantiniere della tenuta di famiglia di Arquata. L’abile Alvaro riuscì a far sbocciare la maestà di questa uva misteriosa, diminuendo il prodotto delle piante e modificando le tecniche, in modo da realizzare un equilibrio migliore tra frutto, tannini e acidi, un vino che dopo una lenta maturazione in botti di rovere, continuavano poi ad invecchiare elegantemente in bottiglia. Il robusto ma maturo Sagrantino secco di Adanti divenne il prototipo di quel vino, esemplificato dall’annata 1985, che era ancora stupendamente ricca e morbida nel 1999”. Alvaro Palini è la storia e la leggenda del Sagrantino secco in questo territorio. Le fatiche, le incertezze, le emozioni nel contatto con una realtà sconosciuta. All’epoca di esperienza ce n’era poca, e non si riusciva a fare un buon vino. L’allevamento della vigna seguiva ancora l’arcaico sistema della coltivazione promiscua. Tra i filari c’erano le piante da frutta, i fichi; c’era il grano. Nelle vigne vecchie ogni ceppo era una varietà di uva diversa. Il contadino faceva solo il Sagrantino passito, quello in sopravanzo lo utilizzava per il rosso. A giugno, già cominciava a spungere e tutti andavano ad attingere, ma non lo curava nessuno. Non si può dire che ci fosse un Sagrantino secco all’epoca, diciamo che a volte l’appassimento non veniva bene e rimaneva un sagrantino un po’ abboccato. Ancora nel 1982 Andersen nella Guida ai migliori vini italiani con Hugh Johnsonn in prefazione, affermava: “Dalla varietà di uva Sagrantino oggi questo vino robusto è spesso secco sebbene il tradizionale passito sembra gli si addica di più …”

Il primo Sagrantino di Adanti è stato fatto nel 1980, appena preceduto dalla Cantina Cooperativa di Foligno e dall’azienda Tardioli, che ora non esiste più. La storia degli Adanti produttori di vino inizia nel 1970 quando Domenico acquista la casa con i terreni di Arquata, che i proprietari precedenti avevano già da tempo abbandonato. Alvaro Palini era a Parigi nella sua sartoria e Domenico Adanti lo andò a trovare, portando con sé il suo primo vino. Alvaro è un uomo dai modi spicci, assaggiò il vino e come ripete spesso: “io l’ho buttato nel lavandino”. Non era buono. Quei vini non piacevano proprio ad Alvaro. Quando tornava a Bevagna da Parigi andava ad aiutare il suo grande amico Domenico a mettere a posto le bottiglie e a discutere sulla qualità del vino assolutamente scarsa. Dopo una serata insieme, erano ormai le due del mattino, Domenico sbottò che non ce la faceva più a sentirsi dire che il suo vino non era buono. “Veramente tu pensi che questo vino non va bene?” disse ad Alvaro. “ No, va malissimo” fu la secca risposta. “Allora pensaci tu” sibilò tra i denti Domenico. Alvaro entrò in cantina e si mise a lavorare. Vivendo a Parigi aveva avuto modo di bere dei vini eccellenti, quindi aveva affinato tantissimo il gusto, ma non aveva nessuna cognizione tecnica. Aveva sì fatto un po’ di pratica, da piccolissimo con suo nonno in vigna, poi all’Orfanotrofio di Bevagna dove c’era una piccola vigna e i ragazzi erano coinvolti nelle operazioni in vigna e in cantina. Quando scese nella cantina di Domenico aveva in testa alcune certezze: l’uva era buona la conosceva da tanti anni, il Sagrantino lo conosceva perchè il nonno, che ne aveva pochissime piante, le curava con grandissima attenzione e lui, benché piccolo, aveva scolpito nella memoria quello che suo nonno faceva e come lo faceva. Cominciò a sistemare le vigne attraverso potature più attente per diminuire le quantità di grappoli. Alvaro voleva riportare nel vino la stessa armonia ed eleganza che ricercava nei suoi abiti della sartoria parigina. Alla fine trovò l’equilibrio giusto tra quantità e qualità. E ancora una cura attenta in vendemmia, non più una raccolta indifferenziata, ma una scelta precisa dei grappoli, quelli non pronti o non adeguati venivano lasciati indietro per fare altri vini. Dovette affrontare ruvide discussioni con gli operai che non accettavano la nuova impostazione. Se vedeva che la produzione di grappoli era eccessiva toglieva subito i grappoli in eccesso. Lui non ha mai contato i grappoli in pianta, sceglieva solo i migliori. “Io non sapevo scientificamente quello che dovevo fare, lo facevo perchè sentivo, percepivo che quello doveva essere fatto. Una questione di istinto, di esperienza, di amore per la vigna. Ora sono più scientifici, precisi, ma senza emozione. Gli altri che erano con me pian piano hanno imparato a comportarsi allo stesso modo. La ricerca dell’equilibrio è fondamentale. Non basta dire produco poco in vigna, per esempio faccio 30 quintali per ettaro, in modo da avere un vino migliore, perchè anche così potresti introdurre un disequilibrio pari a quello che ha una produzione eccessiva. Dipende ogni volta dall’andamento dell’annata in vigna, dalla salute della pianta, e da tante variabili. Non basta produrre di meno per assicurarsi la perfezione del risultato”. Il mio primo vino Sagrantino della Cantina Adanti è stato del 1980. Il sesto di impianto all’epoca era a palmetta. Su questo Alvaro è perentorio: “Io metterei ancora i sesti a palmetta. Nel terreno pianeggiante mettere 5 o 6000 ceppi per ettaro non lo condivido, su quel tipo di terreno la palmetta va sicuramente meglio. Invece di mettere 5000 piante ne metti 3000 la quantità di uva è più o meno uguale e viene meglio”. In cantina sono state sempre usate botti grandi e tonneau e solo qualche barrique di legno di Troncais o anche di Slavonia di montagna a media tostatura. L’Allier non è amato in azienda per i marcati sentori di vaniglia. Le uve dei vari vigneti vengono vinificate separatamente e messe in botti diverse. Poi dopo Pasqua, vengono assemblati in botte grande. Dopo la morte di Domenico, c’è stato un momento di incertezza, anche perchè lui era una figura particolarmente importante, molto presente in azienda. Questa figura è stata sostituita dal fratello, Pietro, aiutato prima da Donatella e negli ultimi 5 anni da Daniela, le figlie di Domenico. Alvaro è sempre lì, si è ritagliato un ruolo di supervisore delle attività di produzione. Continua a controllare la qualità e a seguire l’attività in vigna e cantina. L’azienda ha una impostazione di tipo familiare, ora si sente il bisogno di adeguare l’assetto organizzativo alle nuove prospettive che si sono delineate con la crescita del mercato. Nella filosofia aziendale rimane ben saldo il rispetto della tradizione che viene ben espresso dalle parole di Alvaro:

Oggi tendono a rendere troppo morbido il Sagrantino. Il troppo è un errore. Se prendi il mio Sagrantino 1990 era morbido, ma nello stesso tempo un pò “incazzato”. Io l’ho detto a tutti gli enologi quando sono andato alle degustazioni a Montefalco dovete un pò addomesticare il tannino, ma non domarlo. Il Sagrantino deve mantenere i tratti della sua tipicità, altrimenti l’amore di cui è ora circondato sparirà.